CAPITOLO 9: LA GUARIGIONE DEL CIECO NATO
Il capitolo nove si potrebbe pensare collegato alla sezione precedente come episodio illustrativo sia del versetto "Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita" sia dell'ultima parte del capitolo otto dove il tema era stato quello di Abramo che ha "visto" il giorno di Gesù, e di Gesù che ha "visto" Abramo (infatti dice "Prima che Abramo fosse, io sono"). Quindi già alla fine del capitolo otto viene introdotto il tema del "vedere". A questo punto dobbiamo aspettarci, secondo lo stile giovanneo, un segno. E difatti dopo che è stato enunciato il tema della luce e il tema del vedere, viene presentato un segno attraverso il quale il lettore del Vangelo (il quale è abituato a vedere, dietro quello che accade nella realtà concreta, l'agire di Dio, cioè la Gloria) scopre qual è la vera natura della luce e del vedere la luce. Allora sembra chiaro qual è il significato simbolico della guarigione di un cieco; e l'ultima parte del capitolo mostra con grande chiarezza che è proprio questa intenzione simbolica ad aver guidato l'evangelista. Infatti Giovanni concluderà scrivendo:
Quindi attraverso questa immagine della luce e del vedere si parla delle condizioni attraverso cui l'uomo può arrivare alla fede in Gesù, che è la vera vita.
Il testo comincia con la presentazione del cieco e con la domanda dei discepoli se è lui che ha peccato o i suoi genitori. Questa domanda si rifà alla mentalità tradizionale ebraica secondo cui ogni difetto fisico deriva da un peccato. Gesù risponde che in realtà questo cieco è qui non per denunciare un peccato, ma perchè sia invece chiaro che le opere di Dio portano agli uomini la luce; in altre parole Gesù intende sottolineare che in questo caso non bisogna vedere il cieco come sintomo del peccato umano ma come simbolo e segno della salvezza. Gesù è interessato a salvare dal peccato e ad eliminarlo.
Gesù non è venuto per condannare, ma è venuto per salvare. è venuto perchè gli uomini abbiano la vita e la abbiano in abbondanza.
La cosa più importante del versetto è proprio questa spiegazione etimologica fra parentesi: "che significa inviato". La parola "Siloe" di per sè non significa "inviato", ma è solo simile alla radice della parola "inviato". Si tratta allora o di un’etimologia popolare o di un gioco di parole che però interessa all'evangelista: se si prende alla lettera la frase "Va a lavarti nella piscina di Siloe, che significa inviato" essa vuol dire: "Va a lavarti nella piscina del mandato da Dio". Ma il "mandato da Dio" è il Messìa, allora la piscina di Siloe è la piscina del Messìa, di Gesù.
La guarigione del cieco per moltissimi studiosi contiene un simbolismo battesimale (baptismos, baptismos="immersione"). Questo è il primo livello di interpretazione del testo: l'episodio è stato raccontato per dire che Gesù di fronte all'umanità peccatrice non è venuto per analizzare la situazione di peccato, ma per sbloccare questa situazione. E l'uscita da questa situazione di peccato si attua mediante il battesimo di cui la vicenda del cieco è prefigurazione simbolica.
Allora come il cieco acquista la luce nell'acqua dell'inviato così il battezzato acquista la luce nell'acqua del Battesimo. La storia del cieco è in filigrana con la storia di coloro che riceveranno il battesimo. Questa allusione continua anche nel discorso che segue. Dopo che è avvenuta la guarigione del cieco comincia infatti nel testo una lunga serie di dispute nelle quali il cieco stesso viene coinvolto e alle quali partecipano i parenti del cieco e i capi degli Ebrei, i Farisei, dispute che vogliono rispondere alla domanda: come mai costui ora ci vede ? Chi gli ha dato la vista ?
Se si trasforma la domanda in chiave battesimale, essa diventa: come mai quest'uomo è illuminato da Dio e dalla sua verità ? Come mai ha una vita che adesso è salvata ? Chi l'ha salvato ? E nell'interrogatorio che si svolge si può intravedere l'itinerario di catechesi battesimale, come quello che si faceva nella chiesa primitiva: il battezzato è colui il quale viene salvato da Gesù ma, nel contesto del battesimo, dev'essere portato a riconoscere con sempre maggiore chiarezza la vera natura del Signore Gesù che lo ha portato alla vita. Il battesimo cioè, per essere realmente salvifico, esige una chiara cristologia; esige una consapevolezza della retta fede Cristologica. Il passaggio battesimale è il passaggio dall'ignoranza alla conoscenza, dalla incomprensione alla comprensione, dalla morte alla vita; allora dopo che è avvenuto questo passaggio occorre la riflessione, lo studio. Ed infatti vedremo che il cieco agisce proprio così. Egli è stato guarito fisicamente, ma solo attraverso l'interrogatorio viene pian piano a rendersi conto di chi sia stato e con che potere abbia operato la guarigione. Solo alla fine il cieco capisce veramente cosa gli è accaduto. Questa è proprio un'istruzione catechistica di approfondimento che accompagna l'atto del battesimo, e a questa progressiva comprensione partecipano i parenti, i Farisei, i Giudei.
Dando rilievo alle vicende così come appaiono nel Vangelo sembra che l'incredulità degli altri in un certo senso facilita l'accesso alla fede del cieco, quasi che San Giovanni fra le righe voglia dire che il Cristiano non deve spaventarsi se è circondato da persone che fanno continue obiezioni alla sua fede, neppure se queste obiezioni vengono dalla tradizione ebraica. è attraverso il confronto con queste obiezioni che la fede matura. Gli avversari devono servire per il rafforzamento della fede; rappresentano il contrasto attraverso cui bisogna passare per far crescere la fede. Riassumendo, il Battesimo rappresenta il passaggio iniziale con cui si rompe con il passato, e si passa dalle tenebre alla luce. Il Battesimo però deve essere accompagnato da un progresso nella conoscenza Cristologica che può essere facilitato dalla disputa con avversari.
In greco "Sì, sono io" è detto ego eimì (ego eimi), che è la stessa espressione usata da Gesù per indicare la propria identità. Qui ovviamente non ha la stessa connotazione religiosa, ma è curioso che l'evangelista abbia usato la stessa espressione. Gesù, in quanto inviato da Dio, e il cieco, in quanto oggetto della Grazia divina, dicono ego eimì . Il cieco viene a trovarsi in una situazione analoga a quella in cui si trova Gesù: è portatore di un "segno" divino, che lui sa essere tale, ma non è riconosciuto, non è creduto dagli altri Giudei.
Qui il cieco è ancora al primo livello, ancora non sa chi è Gesù, dice: "quell'uomo". Però è cosciente che è stato oggetto di un "segno" miracoloso.
Questo è uno dei famosi doppi sensi giovannei: la confessione di ignoranza del cieco che sembra riferirsi al luogo dove Gesù materialmente si trova, allude anche al fatto che egli ancora non sa che Gesù è con Dio.
Seguiremo ora l'itinerario del cieco nella progressiva comprensione di fede Cristologica.
Qui comincia il contrasto con il fariseo, il quale pretende di sapere, mentre il cieco riconosce di non sapere:
Il dissenso non è negativo anzi è positivo se costruttivo. Il problema è che i Farisei tendono a spegnere il dissenso con l'affermazione "Noi sappiamo", mentre invece esso dovrebbe portare al "Non sappiamo...allora crediamo".
Adesso da un lato c'è la crescente pretesa dei Farisei di sapere, mentre dall'altro lato c'è la progressiva crescita del cieco nel credere attraverso il riconoscimento della sua ignoranza. Il cieco continuerà a mostrare di non sapere, ma di essere pronto a credere; gli altri procederanno nel sapere. Questa è in maniera narrativa il problema ragione-fede. Anche qui, come per la Samaritana, la seconda tappa verso la fede è il credere che Gesù è un Profeta. Nella mentalità ebraica vuol dire che c'è una legame tra lui e Dio: è un Inviato di Dio.
L'ultimo verso, "Dà Gloria a Dio", significa che si chiede al cieco di dire la verità sotto giuramento. E questa richiesta è la conseguenza dell'incredulità dei Giudei; è il "noi sappiamo". Essi pretendono di poter dire a proposito di Gesù "noi sappiamo". Ma "sapere" non serve e non basta per capire il mistero di Gesù, perchè quando si tratta di Gesù bisogna "vedere la Gloria", occorre avere la fede.
L'evangelista qui fa dire al cieco che è inutile che lui continui a raccontare ai Giudei in che modo è avvenuta la guarigione, che continui a raccontare ciò che è avvenuto nella carne. Se essi non si dispongono a diventare discepoli di Gesù non vi è ragione di approfondire i particolari della guarigione. è l'analogo del "venite e vedete": se uno vuole andare e va, allora vede; se non vuole andare significa che non vuol vedere ed allora la ripetizione del segno è superflua.
Qui emerge l'impotenza della religione giudaica di arrivare alla fede se rimane ancorata al sistema rituale. E questa considerazione può benissimo riferirsi anche alla religione in generale allorchè diventa sistema di pensieri, riti e discriminazioni. Anche l'uomo religioso è cieco: deve negare tutto per arrivare a Gesù.
Ora è il cieco che dice "noi sappiamo": il cieco ha superato il suo itinerario catecumenale, è diventato teologo Cristiano e può dire a tutti gli altri teologi il suo "noi sappiamo". Però è arrivato a questo "noi sappiamo" attraverso la progressiva confessione di ignoranza, dando valore solo al fatto che gli è accaduto, cioè che Gesù gli ha aperto gli occhi. Non ha fatto prevalere su questo fatto nessun'altra precedente concezione nè umana nè religiosa. Si è spogliato di tutte le precomprensioni, ha eliminato tutto quello che nella sua mente poteva essere di ostacolo perchè ha capito che in Gesù ha cominciato a vedere, mentre prima non vedeva. Come dire c'è una via propria della fede Cristiana di arrivare alla sapienza teologica. Giovanni vuole delle persone che nella mente siano nude e vergini; la cultura per lui deve essere soltanto uno strumento. Non ci sono valori che vengono dalle culture, soltanto mezzi.
è molto bella questa frase del cieco; qui il cieco parla quasi come Gesù.
Il giudaismo rifiuta la proposta teologica cristiana. E questo ci permette di vedere anche un altro livello di lettura di questo brano: il livello apologetico . Il livello apologetico è quello con cui si dimostra che non è stato il Cristianesimo a rifiutare gli Ebrei, ma è stato l'ebraismo a scomunicarli e a rifiutarli.
Tutti gli storici dicono che questa annotazione è anacronistica: non si può pensare che al tempo di Gesù i Giudei avevano "già deciso". Qui si retrodata al tempo di Gesù una decisione che è stata presa dopo. Si vuole però mostrare come questa decisione, presa dai Giudei in epoche cristiane, consegue all'atteggiamento che essi ebbero nei confronti di Gesù. I Giudei sono contrari ai Cristiani perchè sono stati contrari a Gesù. Quindi non è la Chiesa che sta lontano dalla sinagoga ma sono gli Ebrei che hanno allontanato la Chiesa, e non per una ragione di adesso ma per motivazioni risalenti già al tempo di Gesù. Anche in altri passi giovannei si trova questo procedimento di giustificare un comportamento facendo vedere che esso ha le sue radici e le sue motivazioni profonde in un episodio della vita di Gesù. Un episodio è quello della Samaritana: esso spiega perchè l'apostolato dei discepoli in Samaria riscuote molto favore pur essendo questo popolo pagano. L'episodio del pozzo vuol dire che già Gesù aveva incontrato una samaritana e lei aveva creduto. Con queste retrodatazioni si vuole mostrare che ciò che è successo dopo è la logica conseguenza, è il coerente sviluppo delle premesse poste al tempo di Gesù.
Qui "Figlio dell'Uomo" è il massimo titolo, perchè per Giovanni significa "Colui che essendo disceso risale al Padre", cioè "Colui che viene da Dio, è da Dio, torna a Dio".
Il cieco riconosce e accoglie Gesù come Messìa.
Quest'ultima frase sembra contraddire i versetti dove si dice "non sono venuto per giudicare". In realtà non è una contraddizione poichè qui "giudicare" vuol significare "distinguere". è come se dicesse: "Sono venuto per porre un criterio di giudizio, per rendere possibile una definitiva presa di posizione". Coloro che veramente ammettono di non sapere, vedono; quelli che credono di sapere, non vedono. Questo però non significa che Giovanni è per il fideismo, perchè lui è coltissimo, è un raffinato ragionatore; l'evangelista non rifiuta gli strumenti interpretativi che possono venire dalla cultura; rifiuta che la cultura abbia la pretesa di spiegare il senso globale delle cose. Non vuole che quelli che devono essere solo strumenti abbiano la pretesa di diventare elementi di discernimento, cioè che siano la luce.