CAPITOLO 3: DIALOGO CON NICODEMO
Assistiamo qui al colloquio con Nicodemo, che era un capo dei Giudei; quindi si presenta il colloquio fra un maestro del giudaismo e Gesù. Si potrebbe dire che quello che prima, nel capitolo precedente, è avvenuto come segno enigmatico, adesso viene discusso fra due maestri. Nicodemo porta con sè tutta la sapienza della tradizione ebraica; Gesù invece è la sapienza perchè viene da Dio. In questo colloquio si ha la stessa tematica delle nozze di Cana e del Tempio. Quello che li è espresso con un segno, adesso è espresso con un dialogo.
Nicodemo va da Gesù "di notte": per prudenza o perchè la notte è propizia ad un incontro tranquillo. I simbolisti vedono in essa il regno del male e dell'ignoranza dal quale Nicodemo vuole allontanarsi venendo alla luce, cioè a Gesù. I rabbini stavano volentieri alzati di notte per studiare la Legge nel silenzio e nel raccoglimento. Nicodemo riconosce che Gesù, pur non avendo fatto gli studi regolari, merita come lui il titolo "Rabbì". è il massimo riconoscimento della fede che un giudeo può dare a Gesù. Nicodemo pensa che Gesù in quanto maestro deve avere un suo pensiero originale, e lui va a trovarlo per conoscerlo. L'espressione "Venuto da Dio" non sta necessariamente a dire "di natura divina", ma: "che Dio ti ha dato una missione".
"I segni" non sono necessariamente "miracoli"; anche le parole che Gesù dice al Tempio sono dei segni, perchè nessuno che non viene da Dio si prenderebbe l'ardire di pronunciare tali frasi.
A questi riconoscimenti di Nicodemo seguono parole di Gesù molto dure e che non hanno alcuna attinenza diretta con quello che Nicodemo ha detto. Questo è il tipico stile giovanneo; in questo modo l'evangelista vuol comunicarci un'altra informazione: Gesù è portatore di verità che trascendono la conoscenza umana, è portatore della rivelazione che qualitativamente non ha alcun nesso con quello che gli uomini possono dire. Gesù è il "logòs fatto carne".
La frase di Gesù è perentoria perchè esprime una verità. Gesù vuol dire a Nicodemo che tutta la sapienza giudaica di cui egli è fornito non basta per vedere il Regno di Dio. Per vedere il Regno di Dio occorre "rinascere dall'alto", cioè dallo spirito. Qui la parola greca usata per dire "dall'alto" è anozèn, (anwqen) che può significare anche "di nuovo", "dal principio".
Nicodemo, equivocando, comprende "di nuovo" invece che "dall'alto". L'obiezione di Nicodemo però non è così semplicistica come potrebbe sembrare, ma vuol dire che è difficile rinnegare quanto una religione ha insegnato per secoli, e rifare tutto da capo. Nicodemo dice che non è possibile tornare indietro, l'uomo in quanto tale non può modificare le leggi della natura ("rientrare nel grembo"). Ma Dio lo può, risponde Gesù.
La frase è l'analogo del "diventare bambini" dei sinottici: "Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli". Per un adulto "diventare come bambino" vuol dire "prendere la croce e rinnegare se stesso". Diventare come bambino significa ricominciare tutto da capo. Il bambino non sta ad indicare l'innocenza, ma la sua caratteristica principale è quella di essere piccolo e dipendente dai suoi genitori.
Abbiamo visto che Gesù durante i dialoghi non aiuta mai il suo interlocutore nella comprensione di ciò che ha detto. Il Gesù giovanneo ribadisce sempre le proprie affermazioni o ne aggiunge delle altre; quando l'interlocutore equivoca in parte o totalmente sul senso di quello che dice, egli non interviene mai a dissipare l'equivoco, ma ribadisce soltanto. Escluso qualche parabola, il Gesù giovanneo non aiuta mai l'interlocutore a capire. Anche dai sinottici la personalità di Gesù è quella di una persona abituata a discutere con maestri e quando predica alle folle lo fa come il maestro superiore alle folle. Questo atteggiamento potrebbe indicare che quello che lui chiede agli uomini è un cambiamento totale, una conversione di mentalità, non una comprensione immediata senza alcuna volontà di "rinascita" spirituale e di fede in Lui.
In Gesù c'è il Lógos fatto carne e il Lógos è parola, rivelazione, verità donata, non spiegazione. Gesù agli uomini chiede l'umiltà della fede. Se c'è la fede, se cambiamo mentalità, siamo in grado di afferrare quella verità donata e non c'è bisogno di alcuna spiegazione. La spiegazione è una giustificazione, è una dimostrazione in termini noti di un qualcosa di nuovo. Ma Gesù vuol dire che non esiste dimostrazione o spiegazione umana alla "verità".
L'immagine del vento è quella di qualcosa di reale ma misterioso, che non è controllabile, nè prevedibile. L'azione di Dio nell'uomo è analogamente reale ma imprevedibile e misteriosa. La rinascita è un qualcosa che non dipende solo dall'uomo, ma anche da Dio e produce nell'uomo uno sconvolgimento totale.
La domanda di Nicodemo non è oziosa: i rabbini sapevano che lo Spirito di Dio avrebbe certamente rinnovato gli uomini (Ez 11,19-20; 35,26-27) e che una speciale effusione dello Spirito di Dio avrebbe segnato l'inizio della salvezza (Is 44,3 e Gioele 3,1). Ma il problema era "come", con quale mezzo: un uomo, un Messìa ?
Il "noi parliamo" può alludere a "Io e il Padre" oppure essere un plurale di generalizzazione proprio dei detti popolari e proverbiali. Il verbo "testimoniare" è tecnico dei processi in tribunale, in cui i testimoni parlano di ciò che sanno per esperienza diretta e indiretta da altri.
Gesù vuol dire: "Se vi ho parlato di cose normali, di cui avete un'esperienza e non credete, figuriamoci se vi dicessi cose straordinarie, di cui non avete una esperienza diretta". Nel libro della Sapienza è scritto:
Gesù quindi è portatore della sapienza divina, ha ricevuto lo Spirito Santo da Dio.
Finora Giovanni ha impostato il discorso sulla conversione, sulla rinascita dallo spirito. Adesso aggiunge che questo cambiamento richiesto non è nulla in confronto a quella comunione di vita con Dio che viene promessa al cristiano. Si ribadisce che la iniziazione cristiana per entrare nella comunità è questa radicale novità e che il compimento dell'esperienza cristiana è una vera partecipazione alla vita divina.