CAPITOLO 5: LA GUARIGIONE DEL PARALITICO
Questo capitolo contiene la guarigione del paralitico alla piscina di Betesda e il discorso che Gesù fa dopo tale guarigione.
L'ultimo versetto si trova tra parentesi in tutti i Vangeli poichè una serie di codici non lo riportano. Il fatto che manchi nel codice Vaticano, uno dei più autorevoli, lascia pensare che probabilmente il versetto non faceva parte del testo originario, ma che sia stato inserito da qualche commentatore che voleva spiegare come avveniva la guarigione di un malato.
I numeri sono spesso intesi in senso simbolico.
Sant'Agostino ha dato una spiegazione del numero simbolico "trentotto" qui usato: significa "quaranta meno due" e quaranta era il numero della completezza. Quindi trentotto indica una malattia quasi ormai cronica, ma non una malattia inguaribile. Il paralitico ammalato da trentotto anni è simbolo del giudaismo che aveva sè tutta la legge ma gli mancavano due precetti per essere completo: l'amore di Dio e l'amore per il prossimo. è il giudaismo che ha bisogno dell'acqua del battesimo per raggiungere la pienezza della salvezza. Questa interpretazione simbolica, che Sant'Agostino ha ripreso da più antiche interpretazioni, gode di una certa autorevolezza e prestigio, anche se non è certa.
Quest'ultima frase spiega l'inserimento del versetto sull'angelo.
Questo è il miracolo del Vangelo di Giovanni che più assomiglia a quelli raccontati nei sinottici. Però per Giovanni il racconto del miracolo è un pretesto per dire qualcos'altro.
Il paralitico riconosce, per superstizione e paura, l'autorità di colui che gli ha detto di portare a casa il lettuccio non volendo perdere la guarigione. Accetta per istinto che l'autorità di Gesù abbia valore superiore alla norma sul sabato. Allora si comprende la domanda dei Giudei: "Per avere un'autorità superiore a quella della legge sul sabato, chi è quest'uomo ? "
Tutta la tensione della narrazione è per arrivare a questa domanda che i Giudei rivolgono al paralitico guarito.
Quindi il problema è: chi è Gesù ?
A quei tempi era concezione dominante che la malattia fosse un castigo divino in seguito ad un peccato umano, commesso direttamente o indirettamente (da un familiare). In GV 9,3 Gesù però dirà che la malattia non deve essere attribuita meccanicamente al peccato, ma qui vuol dire che ciò non toglie che in qualche caso la misericordia di Dio si serva della malattia per richiamare alla conversione. Bisogna notare che di questo ammalato guarito non si dice che abbia creduto, non si dice che abbia riconosciuto Gesù; anzi sembra una persona stolta perchè corre subito dai Giudei a dire che è stato Gesù a guarirlo, dando così la possibilità ai Giudei di inquisire Gesù. Il racconto non è utilizzato come racconto di conversione (come accade invece per il cieco nato) ma come pretesto per la successiva discussione con i Giudei. Il dialogo comincia al versetto 16 :
In greco "operare" è detto ergazetài (ergazetai), al presente, che letteralmente significa "lavora", indicando ciò che avviene ordinariamente, nello svolgersi comune e normale della vita; ciò che si fa di solito senza un impegno particolare. Questa è una delle frasi più chiare del NT in cui c'è l'affermazione di Gesù della sua uguaglianza con Dio.
Il "sabato" (dall'ebraico shabbath ="riposo") per gli Ebrei era il giorno che Dio aveva riservato a sè dopo la creazione. In Geremia è scritto che il sabato è consacrato al Signore:
Secondo questa tradizione però il riposo che era seguito alla creazione non significava l'inattività di Dio. Dio il settimo giorno aveva sì cessato l'opera creativa materiale, riservando il settimo giorno a sè ; ma i rabbini commentavano: "per dedicarsi alla vera opera degna di Dio, che non è quella di costruire il mondo, ma è quella di comunicare la verità, di eleggere il popolo, di inviare i profeti, di suscitare lo spirito". La vera opera di Dio, secondo gli Ebrei, era il suo intervento nella storia dell'uomo. Questa concezione fa comprendere come la frase di Gesù "Il Padre mio opera sempre, ed anch'io opero", aggravi la sua situazione poichè implicitamente dice che ciò che lui fa sono delle opere propriamente divine. Gesù assimila la sua attività a quella di Dio, ecco perchè agisce anche di sabato. Gesù agisce di sabato per mostrare la sua uguaglianza con Dio. E infatti questo i Giudei lo capiscono molto bene poichè si dice che "non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio". A questa obiezione dei Giudei, Gesù risponde con un testo che può essere interpretato come una parabola.
L'abilità degli antichi artigiani dipendeva dal fatto che i segreti dell'arte venivano trasmessi di padre in figlio, e che il figlio apprendeva fin dall'infanzia guardando ed osservando il padre all'opera. La parabola sarebbe rivolta ai Giudei e vorrebbe dire che il figlio di un artigiano da solo, senza l'aiuto del padre non è capace di fare il mestiere; fa soltanto quello che vede fare dal padre. è il padre che insegna al figlio tutta la propria arte. è la stessa relazione che c'è fra un artigiano e suo figlio, c'è fra Dio e Gesù. Quindi questi versetti costituiscono un paragone per capire l'azione di Gesù. Nei versetti che seguono si esce dalla parabola e Gesù dice chiaramente in cosa consiste questa uguaglianza nel fare di Dio e nel fare suo.
Primo: Dio risuscita ed anche Gesù risuscita. Secondo: è il Figlio che giudica, è di fronte a Gesù che si decide tutto, non con il Padre in un futuro giudizio universale.
È bene rileggere questo versetto perchè si dice: "Non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita".
Se uno crede, è già passato.
Praticamente qui sono elencate le principali azioni propriamente divine: la risurrezione, il giudizio, il dono della vita eterna. è la massima affermazione dell'uguaglianza del Figlio col Padre.
Nei versetti letti, non soltanto tutto quello che fa il Padre è attribuito a Gesù, ma tutto quello che l'attesa giudaica pensava il Padre avesse fatto alla fine, viene attribuito a Gesù adesso. è il concetto dell'escatologia realizzata: in Giovanni quello che tradizionalmente era assegnato agli ultimi tempi, viene attribuito a Gesù come qualcosa che avviene già nel presente. La frase più importante è:
Qui i "morti" può essere inteso anche in senso simbolico, cioè "coloro che sono nel peccato".
In queste righe è affermato un capovolgimento della tradizionale visione che vede e sposta tutto nel futuro, quando Dio si presenterà e giudicherà (escatologia futura); il fulcro della decisione è ora, alla presenza di Gesù, tutto avviene adesso (escatologia realizzata). Secondo alcuni commentatori questa interpretazione avrebbe scandalizzato già all'interno dello stesso circolo giovanneo tanto da costringere un redattore, preoccupato di questa interpretazione, a riscrivere le stesse cose in prospettiva futura. Ecco perchè si legge:
Qui viene usato il futuro. Allora l'escatologia è futura ?
In realtà l'ipotesi per questi versetti potrebbe essere che Gesù, qui, piuttosto che voler affermare un'escatologia futura, voglia semplicemente citare l'AT e ribadire come in Lui vi sia il compimento delle Scritture; infatti in Daniele si dice:
Sono esattamente le parole che Giovanni fa pronunciare a Gesù, quindi è legittimo pensare ad una citazione.