CAPITOLO 6: LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI

In questo capitolo è riportato il racconto della moltiplicazione dei pani.

GV 6,1-3 "Dopo questi fatti Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea. Una grande folla lo seguiva vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei."

La collocazione di un segno di Gesù nel contesto di una festa ebraica è propria di Giovanni. In questo modo l'evangelista vuol mostrare come Gesù sostituisca se stesso alle feste ebraiche: il contenuto proprio della festa ebraica adesso non è più necessario per la salvezza; al posto della festa ebraica c'è la persona di Gesù e i suoi doni. Qui poi la festa è quella più importante di tutte, perchè è la Pasqua.

GV 6,5-10 "Alzàti gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perchè costoro abbiano da mangiare ?". Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perchè ognuno possa riceverne un pezzo". Gli disse allora Andrea, uno dei discepoli fratello di Simon Pietro: "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci. Ma cos'è questo per tanta gente ?" Rispose Gesù: "Fateli sedere"

Nella narrazione di Giovanni non c'è la motivazione che si trova nei sinottici, che Gesù opera il miracolo poichè preso da compassione per la folla che da tanti giorni lo segue e che non ha da mangiare. Giovanni non intende presentare la moltiplicazione dei pani come la risposta misericordiosa di Gesù al bisogno materiale della folla, non intende dire che è stato un atto di misericordia verso uomini affamati. L'evangelista presenta questo miracolo come una pura iniziativa di Gesù, come segno importante che Gesù vuol dare a questa folla. La moltiplicazione dei pani ha un significato simbolico-teologico che riguarda la persona di Gesù e la salvezza degli uomini; non è una risposta ad un bisogno materiale. Gesù interroga Filippo per mostrare che si tratta di un evento che lui ha già pensato, progettato e sa già come condurre a termine; ma vuole che i discepoli si rendano conto che non hanno portato alcun contributo effettivo a questa azione. Quello che verrà dato alla folla è il dono solo e soltanto di Gesù.

GV 6,11-13 "Allora Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finchè ne vollero. E quando furono saziati disse ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati perchè nulla vada perduto". Li raccolsero e riempirono dodici canestri."

Il dialogo fra Gesù ed i discepoli mette in luce il fatto che essi sono nella assoluta incapacità di dar da mangiare alla folla, e che solo Gesù è capace di dare agli uomini il vero nutrimento. Gesù compie il segno servendosi di quei pochi elementi materiali, come pani e pesci, che i discepoli giudicano insufficienti a soddisfare tanta gente. Il miracolo è un'iniziativa propria e soltanto di Gesù, non è provocato da nessuna richiesta. Vi è la precisazione che i pani erano di orzo: questo perchè la Pasqua ebraica era la festa della mietitura dell'orzo, quindi è il pane tipico della Pasqua.

L'allusione all'Eucarestia è evidente come nei sinottici. Qualcuno osserva che in Giovanni tale allusione è ancora più forte rispetto ai sinottici poichè qui è Gesù stesso che distribuisce i pani, mentre nei sinottici sono i discepoli a distribuirli.

A questo episodio ne segue un altro intermedio, che è il tentativo della folla di fare Gesù re, e la sua fuga.

GV 6,14-15 "Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero il Profeta che deve venire nel mondo". Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo"

Questo piccolo intermezzo è importante perchè spiega come il "segno", la moltiplicazione dei pani, sia causa di un equivoco nella mente della gente. La gente dà un giudizio su Gesù che non corrisponde a verità. Vede sì Gesù come il profeta promesso da Dio, ma lo vede come taumaturgo venuto nel mondo per risolvere la situazione materiale della vita, e quindi vuole farlo re. La gente vede Gesù come risolutore dei problemi materiali, dei problemi di questo mondo. In realtà Gesù è colui che per la relazione che ha con Dio, può dare all'uomo il nutrimento sì per la vita presente, ma non per la vita intesa in senso materiale.

Terzo episodio: Gesù appare ai suoi discepoli come figura misteriosa, e questo sta ad indicare che egli è portatore sulla terra di qualcosa che la gente non può comprendere se rimane ancorata alla situazione materiale della vita. Questo è per Giovanni il segno del camminare sul mare:

GV 6,16-19 "Venuta intanto la sera, i suoi discepoli discesero al mare e saliti su una barca si avviarono verso l'altra riva in direzione di Cafarnao. Era ormai buio e Gesù non era ancora venuto da loro. Il mare era agitato perchè soffiava un vento forte. Dopo aver remato circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura"

Gesù si presenta ai discepoli in una maniera chiaramente divina, è una specie di teofanìa (da teos ="Dio" e faino ="appaio"), cioè Gesù si rivela ai discepoli in una forma più simile a Dio che ad un uomo. La possibilità di dominare le acque camminando sopra di esse nella cultura dell'AT è una delle immagini di quello che soltanto Dio può fare. Il potere sulle acque è considerato un potere tipicamente divino.

GV 6,20-21 "Ma egli disse loro: "Sono io, non temete". Allora vollero prenderlo sulla barca e rapidamente la barca toccò la riva alla quale erano diretti"

Il testo non dice che i discepoli presero Gesù sulla barca, ma dice soltanto che "vollero prenderlo" e che in conseguenza di ciò la barca rapidamente toccò la riva alla quale erano diretti.

GV 6,26 "Gesù rispose: "In verità in verità vi dico, voi mi cercate non perchè avete visto dei segni, ma perchè avete mangiato di quei pani e vi siete saziati"

Gesù dice che la folla lo cerca perchè pensa che sia portatore di benefici per la vita di questo mondo, lo cerca perchè si è saziata, non perchè ha capito il segno. La folla non ha capito l'intenzione per cui Gesù ha fatto questo gesto: far comprendere il valore della sua Persona. Ricordiamo che per Giovanni il segno è il modo per poter vedere la Gloria attraverso la carne.

Bisogna notare com'è interessante dal punto di vista teologico questo ridimensionamento del "miracolo" nella teologia giovannea: a Giovanni non interessa che nel miracolo avvenga il superamento delle leggi della natura, ma solo che esso è la manifestazione della potenza divina. Sotto questo profilo è di un rigore teologico molto forte.

GV 6,27 "Procuratevi, non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna che il Figlio dell'Uomo vi darà. Perchè su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo."

È evidente l'allusione alla persona stessa di Gesù, come cibo che non perisce. Il nesso fra questo versetto ed il successivo è poco chiaro in italiano, ma è più chiaro in greco. Leggendo la versione italiana non si capisce con quale logica la gente dice:

GV 6,28 "Gli dissero allora: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio ?".

Perchè pongono questa domanda ? In greco "procuratevi" è scritto ergazomài (ergazomai) che significa "lavorare", "darsi da fare". Traducendo "datevi da fare" si capisce bene perchè rispondono "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio ?" Gesù ha detto "adoperatevi" e quindi gli ebrei gli chiedono quali opere devono compiere per ottenere quel cibo di vita eterna. Questa impostazione è tipica della mentalità giudaica. Quando la mentalità ebraica sente parlare di Dio pensa subito all'osservanza della legge, pensa che Gesù voglia aggiungere qualche ulteriore precisazione alla legge in qualità di profeta degli ultimi tempi. Ed è per questo che Gesù risponde:

GV 6,29 "Rispose Gesù: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che ha mandato"

Anche San Paolo dice che l'unica cosa che l'uomo può fare per avvicinarsi a Dio è quella di credere. Quindi non si tratta di cercare una prescrizione in più, ma di credere, credere in Gesù Cristo.

A questo punto la transizione al versetto successivo non è difficile se si tiene presente che nell'AT tutte le volte che si chiede ad una persona di credere, questa persona chiede un segno. Nella mentalità dell’AT non è indice di incredulità o di dubbio, ma è affermazione della volontà di entrare nella logica della proposta di fede. Il segno è l'avvio del dialogo di fede (). Quindi la mentalità è differente dalla nostra, la richiesta di un segno nella cultura di allora significava volontà di credere. Il segno non è una prova, non è una dimostrazione, ma è chiedere al Signore di fare il primo passo a cui l'uomo risponderà credendo.

GV 6,30-31 "Gli replicarono: "Ma quali segno fai affinchè vediamo e crediamo in te ? Che cosa operi ? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: "Diede loro da mangiare un pane venuto dal cielo"

Siccome Gesù ha annunciato che avere fede in lui equivale a compiere l'opera è di Dio, essi chiedono quale segno farà perchè essi possano credere. Essi chiedono che Gesù dia loro, non un pane materiale come quello che hanno mangiato, ma un pane straordinario che dimostri dalla provenienza e consistenza di essere veramente un "pane del cielo" e non semplice pane d'orzo. Il discorso degli ebrei è di dire: "Ci hai rimproverato perchè non avremmo capito il segno, ma quale segno ? Ci hai dato del semplice pane d'orzo. Noi da questo abbiamo dedotto che tu ci procuri del pane. Se vuoi che crediamo in te devi darci un altro tipo di pane." Ciò che si richiede è un segno che sia autenticamente divino e non umano, che sia come la manna. Giovanni invece in tutto il suo Vangelo vuol dirci che è inutile chiedere questi segni, perchè la strada che Dio ha scelto è il Lógos che si manifesta nella carne; non verranno segni che avranno natura divina. La risposta di Gesù è:

GV 6,32-33 "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà ora il pane che davvero viene dal cielo. Infatti il pane di Dio è colui che viene dal cielo che dà la vita al mondo"

Qui il discorso di Gesù sembra accondiscendere alla richiesta della folla e dice una cosa ancora più forte di quella che chiedono i Giudei, in quanto afferma che verrà dato qualcosa di più della manna, verrà dato un pane che è veramente "pane dal cielo", dato direttamente da Dio, che discende dal cielo e dà la vita al mondo".

GV 6,34 "Allora gli dissero: "Signore dacci sempre questo pane"

E si rimane sull'equivoco. L'equivoco è che essi pensano a qualcosa di concreto e divino, come la manna, per cui la risposta finale di Gesù è sorprendente:

GV 6,35 "Gesù rispose: "Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete"

La risposta che viene data agli Ebrei è: "Sono io che vi parlo, il pane di vita eterna". Adesso la frase "pane della vita" è diventata veramente un'espressione metaforica per indicare il dono che Dio fà direttamente agli uomini per comunicare loro la vita in senso pieno. E Gesù dice che questo dono è la sua Persona. Finora non vi è ancora alcun accenno eucaristico. Per ora il valore è fortemente cristologico: "Io sono il pane della vita". La persona di Gesù si presenta come il dono di Dio per gli uomini. Se teniamo presente che Gesù si presenta come il Lógos, la Sapienza primordiale, la Sapienza che Dio ha promesso di elargire, appare del tutto ovvio che dica "Sono io il pane di vita eterna".

GV 6,41 "I Giudei mormoravano di lui perchè aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo"

Gesù si presenta direttamente come il dono che proviene da Dio per gli uomini, come la Sapienza elargita. Segue l'obiezione che compare anche nei sinottici:

GV 6,42 "E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe ? Di lui conosciamo il padre e la madre, come può dunque dire: "Sono disceso dal cielo"? "

Da notare l'ironia giovannea: "Di lui conosciamo il padre e la madre"; credono di conoscere, in realtà non conoscono. è il tipico equivoco di chi vede solo la carne e non sa vedere la Gloria del Logòs che sta dietro la carne.

La risposta di Gesù è uno dei passi più difficili del Vangelo di Giovanni, che introduce il tema del determinismo giovanneo. è una risposta sconcertante:

GV 6,43-44 "Gesù rispose: "Non mormorate fra di voi; nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno."

L'espressione "venire a me" è ebraica e indica l'adesione ad una persona o dottrina, per farne una norma di vita. Il problema teologico sta nella frase: "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato". Se per poter credere in Gesù occorre essere "attirati da Dio", cosa può fare un uomo ? C'è un circolo vizioso: per poter credere a Gesù deve essere attirato dal Padre; l'uomo non può credere se il Padre non esercita un'azione su di lui. D'altra parte per poter andare al Padre bisogna passare attraverso Gesù. Apparentemente ogni via umana è bloccata. Da notare che per la parola "attira" si usa il verbo elkùo, "trascinare".

GV 6,45 "Sta scritto nei Profeti: "E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre ed ha imparato da lui viene a me"

Qui Gesù cita l'AT ed aggiunge un concetto molto importante: occorre essere mossi da Dio per andare a Gesù Cristo. Questo è uno dei punti difficili del Vangelo di Giovanni. Probabilmente l'interpretazione è che la fede in Cristo non è possibile ottenerla se si rimane all'interno di schemi di valutazione umani. Per poter capire veramente che la persona di Gesù è la fonte della vita divina bisogna essere all'interno di un movimento che è già opera di Dio. Effettivamente però la frase di Gesù è dura perchè alla ragione umana non permette di fare nulla. E questa frase fu usata nella tradizione teologica prima nella polemica antipelagiana e poi contro i semipelagiani per stabilire quel principio caratteristico della dogmatica Cristiana che nessuno può cominciare il cammino verso la sua salvezza se la Grazia Divina non lo spinge a farlo. Quindi fa tutto Dio; all'uomo non serve neppure fare il primo passo. Ed è a questo passo del Vangelo che ci si riferisce quando si stabilisce il principio fondamentale che nessuno può andare a Cristo se il Padre non lo attira. Si stabilisce la totale dipendenza dell'uomo peccatore dalla benevolenza di Dio per poter arrivare a Cristo. Comunque il problema centrale è quello Cristologico: Gesù si qualifica come il dono definitivo che Dio fa agli uomini per la loro salvezza e adopera l'immagine metaforica del pane.

L'espressione "Io sono il pane della vita" presenta la persona di Gesù come il nutrimento di tutta la vita umana. Se si considera che nella mentalità dell'AT la comunione finale con Dio era descritta con l'immagine del banchetto, si può anche intendere che quando Gesù dice di essere il "pane della vita" intende dire che egli è la salvezza, non soltanto in questo mondo, ma per sempre, perchè è la definitiva salvezza escatologica.

Il termine utilizzato per dire "vita" non è bios, che indica "vita terrena", ma è zoè, che significa "vita divina". Quindi la "vita eterna" è la vita come Dio stesso la possiede. Si potrebbe allora parafrasare: "Io sono il pane della vita divina. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo perchè chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno." è questo il concetto espresso in questo versetto. Nell'AT il Signore dice ad Ezechiele:

EZ 2,8 "Ezechiele, ascolta quel che ti dico e non ribellarti anche tu. Apri la bocca e mangia quel che ti do. ... Riempi il tuo stomaco con questa pergamena, ... , poi va e parla al popolo di Israele".

Quindi il tema del "mangiare la parola di Dio" era già nota dalle Scritture. Qui però vi è il superamento di quella realtà dell'AT. Gesù vuol dire che in lui c'è il Segno definitivo, non nel pane d'orzo o nella manna. Gesù si sostituisce alla tradizione mosaica celebrata nell'Esodo nella Pasqua, quasi che dicesse agli Ebrei: "Quando voi sognate la salvezza definitiva, non sognatela più come una specie di ripetizione dei fatti dell'Esodo. Quelli erano soltanto segni, come i pani d'orzo. La salvezza definitiva è la persona di Gesù che viene data al mondo, e viene data come maestro da seguire". Questo è il punto. Quindi "mangiare di questo pane" significa "aderire alla persona di Gesù". In questo contesto questa frase non significa ancora fare la comunione eucaristica, ma significa metaforicamente "nutrirsi di Gesù Cristo".

La transizione al tema propriamente eucaristico si ha in :

GV 6,51 "Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. Il pane che io darò è la mia carne, per la vita del mondo"

Qui avviene la transizione da "Io" a "la mia carne". La mia carne" sta a significare anche "la mia umanità votata, offerta alla morte". Quindi l'ultima frase la si può anche intendere così: "Il nutrimento che io darò è la mia vita, la mia umanità offerta alla morte per la vita del mondo". è l'allusione che Gesù fa alla concretizzazione della sua presenza salvifica nel mondo. In questa ultima parte del versetto è legittimo vedere un collegamento con l’Eucarestia.

GV 6,52 "Allora i Giudei si misero a discutere fra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?"

E questa obiezione suppone che gli Ebrei hanno inteso, non un mangiare metaforico, ma un mangiare reale. Questo particolare è importante perchè è un esempio che mostra come di norma nel Vangelo di Giovanni l'interlocutore di Gesù non capisce quello che Gesù dice. Di norma l'interlocutore capisce in senso materiale, terreno, carnale, quello che Gesù dice in senso spirituale. Alla samaritana Gesù parla di acqua: ma l'acqua a cui si riferisce non è l'acqua materiale. A Nicodemo Gesù parla di rinascere di nuovo, e Nicodemo intende che bisogna rientrare nel seno della madre. Entrambi non capiscono cosa dice Gesù. L'interlocutore è presentato come colui che, se "il Padre non l'attira", non ha la possibilità di capire. Gesù qui non si riferiva alla manducazione della sua carne, quindi non vi è il riferimento all’Eucarestia. Questa apparente preoccupazione di allontanare da questo discorso e spostare ad un momento successivo la visione eucaristica, serve per far comprendere come possa essere nata quell'incomprensione totale fra calvinismo e cattolicesimo, nell'interpretazione di questo passo e nell'interpretazione dell’Eucarestia. Il concetto eucaristico è un problema teologico, ed il capitolo 6 di Giovanni è uno dei testi chiave. Risponde Gesù ai Giudei:

GV 6,53 "In verità in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita."

Qui non ci si può ostinare ad interpretare in senso metaforico. è chiarissimo che questo versetto suppone che quando i Cristiani mangiano il pane in realtà mangiano la carne, quando bevono il vino in realtà bevono il sangue, senza che questo significhi presenza sostanziale. In Giovanni il mangiare la carne e il bere il sangue, significa partecipare all'umanità di Gesù e alla è vita donata:

GV 6,54-56 "Chi mangia la mia carne e chi beve il mio sangue ha vita eterna e io poi lo risusciterò nell'ultimo giorno. Infatti la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Colui che mangia questa mia carne e colui che beve questo mio sangue rimane in me ed io in lui"

Certamente l'evangelista qui allude all’Eucarestia. Probabilmente San Giovanni scrive queste parole per dire che tutti i credenti devono rendersi conto che quando partecipano all’Eucarestia, è veramente la persona di Cristo che viene data, come vita donata per la vita altrui. Quindi i due discorsi, Cristologico ed Eucaristico, vengono portati avanti insieme: si parte da quello Cristologico e si passa a quello eucaristico con cui si intende parlare del reale incontro che si ha con Gesù allorchè si assume l’Eucarestia. è come se si dicesse che l'unione con Cristo si manifesta quando i Cristiani, nel pane e nel vino, sanno di incontrarsi realmente con la vita donata di Gesù.

Allora l'errore dei Giudei è nell'interpretare in senso materiale il "mangiare". Gesù invece esprime che si tratta di una misteriosa partecipazione, che si può esprimere effettivamente con il verbo "mangiare", ma che non è un mangiare corporeo, materiale. è un mangiare che equivale alla profonda unione tra le due persone, l'unione personale con Cristo. è tanto vero che Gesù vuole comunicare con i suoi fedeli che si può dire che quando essi mangiano pane, in realtà mangiano il suo Corpo. Ci potremmo domandare qual è la finalità di Giovanni qui: è di far capire che Cristo è nel pane o che Cristo è in colui che mangia il pane ?

Non possiamo saperlo poichè non conosciamo le preoccupazioni che spinsero l'evangelista a scrivere queste cose. La conclusione catechistico-spirituale che si ricava da questo capitolo è che il sacramento dell’Eucarestia non è semplicemente un rito, che per il fatto di mangiare qualcosa produce una grazia, ma è il segno di un incontro personale che implica "fede e sequela".